martedì 23 ottobre 2018

Punto di svolta

In questi giorni i venti provenienti dalle terre di Odino hanno abbassato di molto le temperature. In questa fredda mattina di aprile all'alba ci sono 0° gradi di temperatura ed io sono già sveglio per una giornata in montagna. Mentre percorro in auto la strada che mi porta in fondo alla Val Canzoi sorprendo un capriolo brucare nell'orto di una casa. Mi fissa negli occhi e come un ladro beccato con la refurtiva nel sacco, scappa verso il bosco.
Ho una strana superstizione quando salgo in montagna a caccia; se vedo animali mentre sono per strada quella giornata sarà sterile di incontri in quota.
Non giudicatemi, vado a caccia con un arma che spara 6 fotogrammi al secondo e che ha come preda un immagine impressa in una fotografia: un incontro o uno scorcio particolarmente bello. Foto che scatto per me stesso, per quando sarò vecchio e passerò in rassegna i ricordi che mi hanno fatto bruciare di vita. Arrivo al parcheggio in fondo alla valle e i Pearl Jam che suonano alla radio Present Tense; mi incammino verso passo Alvis con ancora la canzone che mi suona in testa . Till è con me, come sempre, già sulla traccia della volpe passata di qui questa notte.
Il sentiero inizia a salire regolare, una mulattiera fatta per portare le mucche al pascolo nei tempi poveri e semplici dei miei nonni. Per due ore ci sarà religioso silenzio e meditazione in mezzo al bosco, in mezzo a questo silenzio assordante e cosi curativo allo stesso tempo.
Salgo a passo costante, pensando e sorridendo a situazioni appena passate. Hai proprio ragione Eddie, vecchi fratellone che canti in radio: ha molto più senso vivere nel tempo presente; ora e qui!
Ed ora, l'aria frizzante mi nasconde a un  altro capriolo, intento a mangiare l'erba tenera ai margini del bosco, mi porta, dalla cima, il suono di un forcello in amore. Salgo ancora, fino a passare un piccolo ponte a riparo di un passaggio pericoloso, inizio ad essere stanco, per fortuna che fra poco mi apparirà davanti malga Alvis con la sua vecchia stalla e il Sass de Mura mi accoglierà ancora. Come un figliol prodigo ritornato dopo aver peccato per il mondo, questa montagna cosi paterna per me, mi abbraccerà con le praterie del passo Alvis. Sono arrivato in uno dei miei luoghi dell'anima.
Questo è il luogo dove ho iniziato a fotografare per la prima volta la natura e ho iniziato a desiderare un contatto sempre più intimo con la natura. Questo luogo è stata il mio punto di svolta, da quando sono ritornato alla montagna da adulto dopo i tanti giri fatti in spalla a mio papà quando ero piccolo. Questo luogo mi ha fatto capire che nei momenti di paura o quando ci sono pensieri e decisioni da prendere, quando l'animo si fa cupo come un temporale estivo o non sopporto più la gente in generale l'unica cosa da fare e mettersi lo zaino in spalla e iniziare a camminare nella natura.
Natura che mi sovrasta, natura che mi cura, montagna che mi chiama, montagna che mi salva.

mercoledì 10 ottobre 2018

Il Respiro della Montagna

Il mese di novembre, quell'anno, si era trovato presto imbiancato, rendendo le cime che stavano a sentinella della valle eteree al chiarore del cielo invernale.
Jonas quella mattina si alzo presto; chiudendo la porta del tabià, l'aria gelida lo colpi con una sferzata al volto, la neve scricchiolava sotto gli scarponi e la moltitudine di stelle della volta celeste lo faceva sentire inadeguatamente debole
L'inquietudine di quei giorni lo aveva spinto a rifugiarsi in alto, tra le praterie alpine e tra gli animali che formavano il respiro della montagna, per trovare un sollievo a quello stato d'animo che lo  dilaniava.  Prese la traccia ripida che dal paese saliva verso l'altipiano imbiancato,  le punte dei ramponi erano salde sul ghiaccio, lo zaino  gravava  sulla schiena segnando le spalle, ma gli importava poco.
Non è forse vero -pensò- che, quando si sale alle terre alte, lo zaino pesa solo in salita per poi diventare più leggero in discesa, come se all'interno portassimo pene che poi liberiamo, una volta in cima, affidandole alle correnti ascensionali? 
Un camoscio accoccolato nella neve lo accolse al suo arrivo sull'altipiano, lo osservo tranquillo fino a che scomparve oltre l'orizzonte, diretto verso un vecchio bivacco di cacciatori.
Voleva passare la notte lassù , al freddo e da solo, lottando contro i suoi demoni, aiutato da un fiaschetta di grappa al genepì e da alcune Huldre(1) scese apposta dalle gelide terre del nord a tenergli compagnia.
Entrò scrollandosi la neve di dosso; il sole era alto al centro del cielo:non era troppo freddo. Come era sua abitudine, aprii lo zaino e sparse tutte le sue cose nel bivacco, come a prendere possesso di quel remoto avamposto umano nella natura selvaggia. Stava bene lassù, in mezzo a quell'assoluto silenzio, accarezzato dal sole invernale, con la mente leggera e in compagnia degli abitanti della montagna, la cui vita, però,  era meno poetica della sua; egli infatti si era rifugiato lì come un eremita scappando da una storia d'amore, finita troppo presto, o troppo tardi, a seconda dei punti di vista. 
Alcuni stambecchi, in fila indiana, aprivano un sentiero nella neve pendente mentre lui percorreva strade dimenticate con il tempo: storie e momenti felici, svaniti da quando lei aveva chiuso la porta del loro appartamento in affitto giù a valle. Un suo amico gli aveva consigliato di andare in terapia, per salvare la relazione e per superare a testa alta quel momento, ma lui di quei sofismi non ne voleva sapere. Jonas era una persona semplice, abituato a saper soffrire. I momenti bui li aveva sempre attraversati nascondendo il ghigno torvo e andando avanti, magari a spallate, ma senza soffermarsi troppo sulla faccenda. 

Tutto viene e tutto passa - pensò- come viene l'inverno  a coprire i pascoli, facendo sembrare tutto immobile e morto, ma allo stesso tempo destinato a tornare per far scoppiare di nuovo la vita. Come i tempi maledetti e inquieti, infatti, fanno sembrare l'animo morto, quest'ultimo in realtà brulica in attesa di una nuova primavera.Tuttavia- penso ancora laconico- ogni inverno lascia le sue vittime sulla neve primaverile. 

Era la verità e lui lo sapeva, ma non per questo si dava per finito. Le Huldre lo avevano chiamato ancora alla natura, alla montagna che tanto amava, per farlo rinascere e diventare ancora più forte, annullando nel silenzio delle cime le urla e i pianti che ancora risuonavano nella sua testa. I tempi difficili sarebbero passati, sapeva che voleva e poteva tornare ad amare di nuovo in maniera sincera.
Mentre il sole scendeva dietro le montagne rinnovando ancora il sortilegio dell’enrosadìra(2) sulle
rocce dolomitiche, fece un patto con se stesso: promise che avrebbe avuto il coraggio di essere sempre sincero e di non nascondere mai più le sue emozioni e i suoi sentimenti a chi voleva bene. Lassù nelle terre alte, raggiunte solo da anime in pena e improvvisati eremiti, senza un soldo in tasca, sapeva di essere il più ricco su questa terra, perché nessuna ricchezza poteva comprare la libertà e la gratitudine di essere vivo, proprio come si sentiva lui in quel momento. Coccolato dal calore di una vecchia stufa economica, portata su a braccia da altri fratelli della montagna, con le stelle che sovrastavano il bivacco vegliandolo, tutto era perfetto. Quella sera, per la prima volta da mesi, un sorriso e una lacrima spuntarono sul suo viso. I tempi difficili stavano passando. 



 “Questa storia partecipa al Blogger Contest.2018” http://www.altitudini.it/respiro-della-montagna/


(1) Nel folklore scandinavo, le huldre o uldre (norvegese, derivante dalla radice che indica "coperto" o "segreto") sono delle seducenti creature della foresta

(2) L'enrosadira è il fenomeno per cui la maggior parte delle cime delle Dolomiti assumono un colore rossastro, che passa gradatamente al viola, soprattutto all'alba e al tramonto.