giovedì 3 dicembre 2020

Il Patriarca

Jonas e Ingrid entrarono nel bar facendosi largo tra la gente, quella sera andava in onda la partita di calcio della nazionale e mezzo paese si era riversato nell'accogliente bar del centro, con il bel bancone di legno ricavato da un vecchio tavolo da lavoro di un falegname. Un uomo anziano se ne stava solo in disparte, con il suo bicchiere di vino, intento a leggere il giornale e lanciando di tanto in tanto qualche occhiata al televisore, quando l'aumento delle grida suggerivano un avvenimento in una partita altrimenti noiosa. Il vecchio si chiamava Tobias, un montanaro che viveva isolato in una baita che d'estate apriva agli escursionisti che volevano fermarsi a mangiare qualcosa. Da giovane era stato anche cacciatore e bracconiere, ma una mattina di luglio si trovò di fronte un capretto di stambecco che lo guardava attraverso le corna della madre. Da allora la caccia e la carne lo disgustarono e divenne vegetariano. Nella baita in montagna aveva un piccolo orto, anche se nessuno sapeva come era riuscito a coltivare e far crescere cavoli e patate lassù in alto; di certo un orto testardo e caparbio come chi lo curava. Il resto lo comprava alla bottega del paese una volta a settimana, quando scendeva a fare provviste con il pick-up Mitsubishi vecchio di 20 anni.   

-Jonas, Ingrid, venite qua!- esclamò il vecchio al tavolo. 

-Ciao Tobias, come stai?- gli fece eco Jonas mentre Ingrid lo abbracciava e gli dava un bacio sulla guancia. 

-Eh caro Jonas, tiro avanti, ogni tanto i dolori alle ginocchia si fanno sentire ma basta non dar loro troppo bado, come alle donne- disse facendo un occhiolino a Ingrid. 

-Tobias...sei sempre il solito!- rispose Ingrid -piuttosto, cosa bevi? Il tuo bicchiere mi pare triste...-

-Brava Ingrid, meno male che qualcuno pensa ai vecchi... prendo un rosso. E...voi? Spero non quella cosa rossa che va tanto di moda... -

-Ma no, Tobias! Ingrid, ordina due birre e un rosso per l'eremita qui di fianco.-

Nel frattempo il bar esplose in un boato. Rigore contro ed ora la nazionale perdeva 1 a 0. 

-Aaah, senti che casino! Sto meglio su nella mia baita, in mezzo ai larici. Sapessi Jonas, alla mattina ho sempre un gallo forcello che mi sveglia, canta anche adesso che è ottobre... credo che questo sarà il mio ultimo inverno lassù, divento vecchio e le forze non mi reggono più.-

-Tobias, ma cosa dici? Io faccio fatica a starti dietro quando andiamo in montagna assieme. Vero Ingrid?-

-Eh si Tobias, l'altro giorno ti ho visto appena sotto di me alla forcella dei becchi e mi sei scappato via, non ce l'ho fatta a raggiungerti, scendevi come un camoscio.-

-Troppo buoni ragazzi, e con questo me ne torno alla mia malga. Jonas, ti aspetto domani, con le cose che ti ho chiesto. Notte, non vi ho visto vi ho vissuto.-

I ragazzi rimasero al bar ancora per un po', giusto il tempo di un paio di birre e di vedere la fine della partita: la nazionale aveva vinto con rimonta poderosa nel secondo tempo e tutti gli avventori erano ora su di giri e paonazzi dal bere. 

-Ingrid, domani porterò a Tobias le cose che mi ha chiesto,. Sai quel pacco arrivato oggi con il corriere, sono coltelli da intaglio, ha detto che gli serviranno per sopportare il lungo inverno. Speriamo che non si tagli.-

Joans partì di buon'ora, con Brick che andava a destra e a sinistra senza darsi pace dietro alle tracce dei selvatici che avevano passato la notte vicino al loro Tabià. Il sentiero saliva ripido di fianco ad alcune case datate fine '800, un tempo dimora di dura gente di montagna, ora casa vacanze per ricchi snob di città. Il sole saliva piano da dietro i larici che iniziavano a colorarsi di giallo, segno dell'imminente arrivo dell'autunno. Tutto il bosco fremeva e odorava del testosterone dei cervi nel pieno del periodo del bramito. Di tanto in tanto si sentiva un colpo secco nel fitto degli alberi e ogni volta Brick si fermava, con la zampa anteriore alzata, la fronte tesa in cerca della direzione del suono. Jonas sorrideva nel vedere il suo amico così buffo ma anche così professionale nel fare quello che la selezione umana aveva fatto: cane da caccia anche se non aveva mai partecipato a una battuta in tutta la sua vita. 

 Dopo un'oretta di cammino a passo sostenuto, Jonas sbucò fuori dalla linea degli alberi, arrivando sul fondo di una larga valle che conduceva alla forcella dei Piani, Come era solito fare quando era in questa zona, uscì dal sentiero per esplorare le tracce dei caprioli, cercare le fatte dei Galli Forcelli e le impronte della volpe. Gli era capitato in quella zona di trovare quello che restava di un Gallo Forcello, caduto vittima dell'attacco della volpe, un cerchio di piume e di neve scombinata nel fragore della lotta per la sopravvivenza; il Forcello era morto, la Volpe si era saziata e lui si era portato a casa tre piume delle coda, di quelle che i soldati austriaci, i Landesschützen, usavano per ornare i loro berretti. Una di quelle piume la regalò poi a un caro amico, emigrato in Argentina come si faceva un tempo, per poter fare il proprio lavoro di biologo. Il terreno impervio e ripido gli faceva salire le pulsazioni del cuore e le gocce di sudore scendevano copiose da sotto la fascia che aveva in testa. Brick correva avanti indietro, a tratti si sdraiava sull'erba e lo guardava con la lingua fuori e un sorriso felice da cane. All'improvviso notò qualcosa di bianco tra l'erba secca e gialla, non un sasso e neanche qualcosa di vivo, di un candore che solo le ossa sbiancate dal tempo hanno. Si avvicinò, togliendo quello strano trofeo dalla bocca di Brick che trovò subito occasione per mangiarselo e iniziò ad esaminarlo. Era di un ungulato, quello era certo, i molari ben rappresentati, utili per masticare l'erba alpina, gli astucci cornei erano oramai totalmente decomposti ma dalla grossezza delle appendici ossee che spuntavano dal cranio non poteva che essere di uno stambecco. Si sedette sull'erba pensieroso, della colonia di stambecchi della forcella dei piani oramai conosceva abitudini, spostamenti e componenti. C'erano i due piccoli promettenti che trottavano attorno alla madre, una quarantina di maschi più o meno possenti e poi c'era lui, il più vecchio degli stambecchi, con le corna lisce alla base dai tanti combattimenti effettuati. Lo aveva chiamato "il Patriarca" ed era oramai due anni che lo cercava in tutte le sue uscite senza vederlo più. L'ultima volta lo vide scomparire dietro la nebbia in una giornata fredda di luglio, con il passo regale, di quelli che hanno le divinità quando scendono a visitare il mondo degli uomini. Si rigirò ancora il cranio tra le mani e si mise a confrontarlo con la foto che scattò al Patriarca la prima volta che lo vide, una giornata di giugno calda e con il sole che a quelle quote ti brucia il viso senza troppi complimenti. Lui era lì, in mezzo a tutta la sua coorte con due stambecchi giovani che facevano da sentinella non appena Joans si avvicinava troppo, emettendo fischi di allarme ma senza mai diventare aggressivi nei suoi confronti. Chissà se con tutte le volte che lo vedevano sulle crode, ad arrampicarsi sui massi neri e coperti di muschio verde brillante, non lo avessero incluso come membro onorario, uno stambecco a due gambe che per la sola costanza di salire dove pochi avevano la voglia più che la forza, meritava di avere più parenti in alto che a valle. 

-Questo lo devo fare vedere a Tobias- comunicò Jonas a Brick, che lo guardava incuriosito inclinando la testa e rizzando le orecchie. Si alzò prese il cranio con sé e si diresse, seguendo il torrente, alla baita di Tobias. 

Tobias lo vide arrivare mentre girava attorno alla baita sistemando la legna per l'inverno, accatastandola contro le pareti perimetrali per isolare ancor di più l'interno dal freddo. Mano a mano che i ciocchi calavano esponendo la baita, migliorava anche la stagione, rendendo meno necessario l'isolamento. 

Brick fece uno scatto e saltò addosso a Tobias, posandogli le zampe sul petto e ficcando il muso dentro la giacca in cerca dei biscottini a cui lo aveva abituato. -Ciao Brikkone, vecchio mio, sempre felice di vedermi tu eh?!? Ciao Jonas, ben arrivato, hai fatto buon viaggio?-

-Sì grazie, Tobias, tutto ok. Ti ho portato le cose che mi avevi chiesto e una bottiglia di vino da parte di Ingrid. Devo anche farti vedere una cosa che ho trovato salendo, penso si tratti del Patriarca.-

-Il Patriarca?! Saranno almeno due inverni che non lo vedo, era solito comparire d'improvviso quì sopra quando scendeva la prima neve, come per controllare se stessi bene. Che palco che aveva... lo sai vero che ogni anello corrisponde ad un inverno superato, una specie di medaglia per essere sopravvissuti con poco.-

-Sì Tobias, lo so, me lo ripeti ogni volta che parliamo di camosci e stambecchi, anche se so che a te piacciono di più i camosci per come si muovono veloci e scaltri sulle praterie.-

-Oh abbi pietà di questo vecchio, piuttosto, fammi vedere quello che rimane di quel gran bastardo. Ma prima entriamo, che mi sa che questa notte nevicherà.-

Entrarono nella baita, rivestita di legno intriso dall'odore di caffè e di fumo di tabacco, alle pareti i quadri che Tobias dipingeva da giovane, panorami alpini figli di storie di emigrazione e scene di animali a volte immaginate a volte memorizzate e riportate in un disegno, un mezzo economico per fissare i ricordi, per lui che non ebbe mai i mezzi per comprarsi una macchina fotografica.

Si accese la pipa e si mise ad esaminare il cranio, tirando fuori da un cassetto un disegno minuzioso del Patriarca. Tirò dalla pipa e dopo un lungo silenzio sentenziò -certo una volta era più in carne, ma credo proprio che sia il Patriarca, peccato che il suo trofeo sia stato consumato dal tempo. Beh ad ogni modo, sono contento lo abbia trovato tu invece che qualcuno che sta alla montagna come io sto alla Rinascente di Milano. Che fai Jonas, ti fermi per cena? Ho messo su la zuppa d'orzo.-

-Ahahah Tobias, ma come ti vengono certi paragoni? Comunque no, ora mi avvio verso casa prima che faccia buio, che poi se mi fermo da te so già che finisce a grappe fino a tardi e poi domani tocca mandare malattia a lavoro. Ma ti ringrazio per l'ospitalità. Ciao Tobias, ci vediamo settimana prossima, che vengo su a darti una mano con la legna per l'inverno.-

-Ciao Jonas, sai che il tuo letto è sempre pronto per ogni volta che ti vuoi fermare. Sai ho un gallo forcello che viene sempre a trovarmi la mattina presto, sarebbe bello se facessi una fotografia con il tuo trabiccolo.-

-Va bene vecchio mio, anche se sarai sempre più bravo tu con la tua matita che io con le mie diavolerie moderne. Vado! Stammi bene.-

-Ciao Jonas, toh, tieni il povero Patriarca. Sai cosa devi farne.-

Jonas annuì con un cenno del capo e si incamminò verso casa, mentre il sole iniziava a scendere colorando di viola le nuvole all'orizzonte e intrufolando i suoi raggi tra i rami dei larici, incendiandoli con tutte le tonalità del giallo e del rosso. Rimase incantato di fronte a questo spettacolo e si rese conto che la montagna aveva salvato più esistenze di quante vite si era presa. Prese dallo zaino, il Patriarca e lo depose ai piedi di un larice. -Ti lascio qui Patriarca, come è giusto che sia, perché i nostri spiriti appartengono alla Montagna e a nessun altro.- Senza dire altro scese sul sentiero, volgendo lo sguardo in alto un'ultima volta al teschio che guardava la valle,  mentre timidi fiocchi di neve scendevano lievi ad incorniciare quel commiato. 

                                                     


venerdì 2 ottobre 2020

Bufera da Est.

Il Nonno, ogni volta  che vedeva le nuvole  riunirsi in conclave, ripeteva spesso, sbuffando con la pipa, che quando la pioggia veniva dalla montagna questa durava una settimana ma se veniva dalla pianura solo un giorno. Chissà se il nonno aveva un proverbio anche per le bufere che venivano da Est, si domandò Jonas, mentre guardava le nuvole riunirsi sopra le cime delle montagne attorno a sé a coprire le cime, imbiancate dalla prima neve caduta a novembre, Neve bagnata che aveva spalato a mano, faticando e sbuffando sotto il cappello di lana, un lavoro inutile, visto che il sole se la prende cosi comoda a sciogliere i cumuli nevosi lungo il vialetto.  Le piste da sci, benedette da questa manna gelata dal cielo, si riempirono rapidamente di sciatori che parlavano dialetti e lingue diverse da quella di Jonas, così inadeguato rispetto al loro modo di porsi così chiassoso, con un abbigliamento dai vivaci toni arancioni, viola e azzurri che si contrappone al suo dove il verde e il nero la fanno da padroni, dal suo parlare scarno smorzato in gola che sembra più ad un grugnito di qualche bestia selvatica che una voce umana. 

Mentre la moltitudine arlecchinata urlava e si divertiva sulle piste lui batteva la neve con le racchette per creare uno spiazzo abbastanza grande per poter piantare la sua tenda al limitare del bosco, lontano da tutto, sudando ma felice

Se solo avesse saputo cosa avrebbe portato il nuovo anno, beh non sarebbe sceso da lì fino a quando tutto il manto nevoso non fosse sparito per lasciare lo spazio al verde estivo dei prati.
Una bufera si stava addensando all'est e avrebbe a breve scaricato tutta la sua violenza su tutta l'Europa: un nuovo virus avrebbe cambiato la storia. 
Jonas si chiuse dentro il sacco a pelo e tirò fuori un libro della storia delle alpi che stava leggendo, accanto a lui Brick dormiva tranquillo. La tenda riusciva a dare un ambiente confortevole, mentre fuori le rocce dolomitiche si spegnevano dopo essersi infiammate al tramonto e il mercurio nel termometro si ritirava. 
Questo termine del giorno era solo per lui, non doveva rendere conto a nessuno e nessuno poteva permettersi di disturbarlo. Una fuga dal caos e dalle preoccupazioni del lavoro giù a valle nell'ospedale cittadino. 
Jonas si svegliò ai primi raggi del sole, che timidamente facendo capolino da dietro alle cime, iniziava a scaldare, sciogliendo a poco a poco, lo strato di ghiaccio che si era formato sulla tenda. La neve accumulata sugli alberi si tuffava dai rami verso terra muovendo sbuffi bianchi mentre le cince dal ciuffo si inseguivano tra le cime degli abeti. Brick e Jonas uscirono dalla tenda stiracchiandosi e sbadigliando entrambi per scrollarsi il sonno di dosso, l'acqua per il thè era sul fuoco e tutto era in equilibrio.
Quando il sole fu quasi allo zenit Jonas impacchettò tutto nel suo zaino e si avvio a valle fischiettando con Brick che lo seguiva trotterellando felice.
L'indomani arrivò a lavoro con la faccia paonazza tipica di chi aveva preso il sole in montagna e trovò i colleghi preoccupati; un nuovo virus era appena arrivato dall'est e stava iniziando a manifestarsi anche in quel piccolo ospedale di montagna. Da quel giorno avrebbero dovuto mantenere sempre la mascherina indossata sul viso ed essere ancora più scrupolosi e attenti. Intanto nella capitale il comitato tecnico scientifico imponeva la chiusura di tutta le attività per fermare il dilagare dell'epidemia e limitare i danni. 
La bufera da est aveva appena valicato la linea frastagliata delle Dolomiti e Jonas si trovò già sopraffatto dalla paura che fosse una cosa troppo grossa per lui. La mattina, chiudeva la porta del tabià dietro di sé, lasciando i cani e Ingrid che ancora dormivano nel lettone, e scendeva a valle, dopo aver dormito a fatica e aver lottato contro i demoni tutta la notte.
Le cime arrossate dall'alba lo salutavano ogni mattina e gli infondevano coraggio, ogni sera lo accoglievano abbracciandolo al ritorno da quello che era un fronte, con medici e infermieri in prima linea contro un nemico invisibile. Spesso al ritorno a casa, crollava a piangere, troppo era quello che aveva visto, per non parlare del dover indossare i dispositivi per ore, sudando e camminando impacciato, non vedendo niente attraverso gli occhiali appannati e respirando a fatica attraverso la maschera protettiva, una tortura per lui che amava l'aria fresca e fina delle alte quote.Ogni giorno però la paura diminuiva, come quando, andando in montagna, i passaggi esposti si fanno sempre più famigliari e la paura del vuoto passa. Ma in fondo era fortunato, abitava in mezzo ai boschi e la compagnia di Ingrid, di Brick e di Lilli facevano passare in allegria i giorni di riposo dal lavoro; avevano costruito, con i sassi del fiume, un barbecue primitivo e per la prima volta in vita sua aveva cucinato sulla griglia, aveva anche imparato a intagliare il legno ricavando dei cucchiai da dei pezzi di legno d'abete. Mentre il mondo si fermava per il virus la natura seguiva il suo ciclo, ripulendosi, in breve tempo dei veleni degli umani, la neve indietreggiava lasciando dietro di sé i tanti puntini viola e bianchi del crocus, i caprioli e i cervi finalmente potevano brucare l'erba accanto alla statale senza la paura di venire investiti. Un mondo alla rovescia, che stava dimostrando come non aveva bisogno dell'uomo per esistere e a Jonas, dopotutto, questo mondo non dispiaceva. 
Passeggiando intorno a casa, spesso incontrava i caprioli, alcuni con il palco in velluto, che brucavano l'erba ai margini del bosco, quella più tenera, mentre sopra gli alberi le rondini piano a piano tornavano al loro nido. Chissà come è stare lassù, si domandò Jonas, completamente liberi, sospesi dal vento e guardare giù il mondo, come non si vedeva da secoli, con le strade senza macchine, le piazze vuote e tutta la gente nelle tane, come fanno le marmotte quando c'è temporale in montagna.
 Questo periodo sarebbe passato, mentre gli uomini impauriti facevano promesse di cambiamento, alcuni non sarebbero sopravvissuti, travolti dalla bufera da est, pensò Jonas, guardando fuori dalla finestra del tabià mentre sorseggiava una tazza di caffè nero senza zucchero, con gli occhi languidi verso le montagne che iniziavano rosseggiare e che ancora non poteva raggiungere.

Sospirò e soffocò un conato di vomito, aveva studiato abbastanza umanità per capire che questo avviso non sarebbe stato capito da molti, si girò di scatto preso da un tremore interno incontrollabile, diede un bacio a Ingrid, che ancora dormiva, lego Brick al guinzaglio e parti per il bosco, come un bandito; aveva bisogno di aria e di respirare. Salì fino ad una radura, e si lasciò cadere sull'erba ancora gialla dalle gelate e senti il primo calore della terra dopo l'inverno salire e scaldarlo piano piano. Alzo gli occhi al cielo, per trovare i suoi antenati nelle sagome delle nuvole e chiedere loro consiglio, mentre il profumo del fieno saliva dalla valle la sua inquietudine calava, presto sarebbe stato di nuovo tempo di salire in alto, l'unico posto dove sarebbe sempre stato al sicuro. 





















venerdì 5 giugno 2020

Notti in tenda - tutorial per aspiranti avventurieri -


Viaggiare apre la mente a nuove culture, ad esempio in Norvegia e in generale in tutta la Scandinavia è uso comune e ben radicato nella popolazione l'isolarsi in mezzo alla natura, nella hitta (casa simile a una baita, più o meno spartana) o in tenda. L'idea di passare una notte in tenda in mezzo alla natura mi venne in mente, la prima volta, proprio in Norvegia, nei pressi di Flåm, dove alla vista della tundra desiderai di essere lasciato lì "con una tenda, il mio cane e la macchina fotografica".

Finalmente l'anno scorso dopo varie ricerche e studi e con una strisciata di carta di credito, eccomi nel giardino di casa di mia madre a montare la mia prima tenda.
Il percorso di acquisto è stato molto articolato, con una ricerca di informazioni che hanno positivamente accresciuto la mia conoscenza. Ecco cosa ho imparato.

IL DIRITTO
In Italia ma anche in gran parte d'Europa, esclusi i paesi scandinavi, il campeggio libero è generalmente vietato. Nel territorio italiano, il campeggio è regolamentato dalle regioni, ad esempio in Veneto è esplicitamente vietato fuori dalle aree dedicate e specialmente all'interno dei parchi naturali.
Non è vietato però il bivacco notturno, per il principio che se sono in un ambiente potenzialmente ostile ho il diritto ad un riparo, ma che sia compreso tra l'imbrunire e l'alba. Fuori da questo lasso di tempo è considerato campeggio, che deve essere sempre di misure contenute e non eccedente le 48 ore.
Ci sono delle deroghe sul poter installare una tenda nel parco, come ad esempio se il rifugio ha esaurito i posti letto, evenienza attuale visto il periodo di pandemia da Covid-19 che ha modificato le nostre abitudini.
Il consiglio è che in fase di pianificazione si capisca bene in che tipo di territorio si andrà a fare il bivacco notturno e se questo è consentito dalle norme vigenti in quel posto.
L'accensione di falò, per quanto possano essere belli, è vietata per il pericolo incendi e per il danno che i resti di combustione recando al terreno sottostante.

LA LOGISTICA
Dormire in tenda, specialmente in alta quota, non è una cosa che si può improvvisare, bisogna avere i giusti materiali per far si che la nottata non si trasformi in un incubo. I problemi logistici che si possono dover affrontare sono dovuti, principalmente, al procurarsi l'acqua e a mantenere la giusta temperatura corporea, inoltre c'è il problema di portare comodamente l'attrezzatura in quota.

L'ATTREZZATURA
L'attrezzatura dovrà essere sempre controllata prima di ogni uscita nella natura.
Il dormire in tenda, rispetto al bivacco, ha l'indubbio vantaggio di essere liberi di scegliere dove posizionarla e di poter dormire in un ambiente proprio e privato, senza dover stendersi in brandine usate da altre persone.
Le tende si dividono principalmente in due tipologie, quella a tunnel e quella a cupola. La prima andrà bene in caso di vento forte, la seconda è sicuramente più panoramica. I teli di cui sono composte possono essere progettati per le 4 stagioni, quindi più versatili, oppure per 3 stagioni, più adatti ai climi caldi e quote non troppo elevate. A seconda della costruzione possono avere due teli, per permettere all'umidità della camera di uscire e depositarsi sul secondo telo che poi la scaricherà a terra tenendoci all'asciutto o un telo solo. In ogni caso la bontà della tenda sta nel conservare il calore e nel non farci svegliare la mattina con l'acqua che corre sul pavimento.
Un sonno comodo è dato da due fattori: materassino e sacco a pelo.
Dopo alcune notti in tenda con un materassino auto gonfiante, grosso e pesante, ho scelto di passare a uno ad aria, molto più comodo e leggero.
Nella scelta del sacco a pelo bisogna guardare il range di temperatura, considerando l'acquisto di un sacco a pelo più caldo se si è di sesso femminile. Io uso sia per l'estate che per l'inverno un sacco a pelo con temperatura estrema di -18°, il che vuol dire che a quella temperatura dormirò in maniera scomoda perché il sacco a pelo non sarà in grado di scaldarmi.
Lo zaino che ho scelto è da 45 litri, con schienale rigido, in modo che possa distribuire e sostenere il peso.
Nello zaino, oltre a tenda e sacco a pelo, non devono mai mancare:
- kit medico
- coltellino
- torcia elettrica con relative batterie
- power bank per lo smartphone
- carta igienica
- asciugamano
- bomboletta di gas e relativo fornelletto
- coltellino
- gel igenizzante e salviette umidificate
- viveri
- pentolino, forchette e mestolo
- sacco per l'immondizia
- borraccia con filtro
- borraccia normale
Per fare star tutto nello zaino, un trucco è inserire i viveri all'interno dei pentolini vuoti.
A seconda se avrò disponibilità d'acqua o meno sceglierò cibi liofilizzati o meno, tenendo sempre conto che la durata del mio stare in mezzo alla natura dipenda dalla disponibilità d'acqua che troverò.
Per questo motivo, da un paio d'anni, mi sono attrezzato con una borraccia dota di filtro, che mi permette di bere acqua in sicurezza. Il fattore acqua incide in maniera significativa sul peso dello zaino, se andrò in una zona dove l'acqua scarseggia, questo potrà peserà anche 3 kg in più.

IL LUOGO
La scelta del luogo dove installare la tenda è molto importante, questo dovrà essere il più possibile pianeggiante, non troppo vicina a corsi d'acqua e non in prossimità di una forcella, dove il vento è più forte ma in posizione riparata, a mezza costa. Consultare sempre il meteo e evitare di posizionarsi sotto gli alberi in caso di vento.  Coricandosi, la testa, dovrebbe essere leggermente più alta dei piedi in modo da non far defluire il sangue verso il cervello.

DORMIRE IN TENDA CON IL CANE
I cani sono molto più capaci di stare in mezzo alla natura rispetto a noi, ma bisogna comunque considerare i propri bisogni alimentari di acqua e di due porzioni di crocchette al giorno e del poterli tenere legati in un ambiente con potenziale presenza di animali selvatici che potrebbero farci perdere il controllo sul cane. Per ovviare a questo problema in commercio è disponibile una sorta di "cavatappi" che si infila nel terreno permettendo di assicurare il proprio compagno a 4 zampe anche quando non ci sono alberi nelle vicinanze.

UNA VOLTA A CASA
Tornati a casa è consigliabile "arieggiare" la tenda in modo che si asciughi per bene, quindi riporla non nella sua custodia, ma appesa in un armadio oppure ripiegata di una federa di cotone, in modo che si eviti la formazione di funghi che possono danneggiare i teli della tenda.

Il dormire in tenda in montagna è un esperienza bellissima, perché ci dona la possibilità di vederela  in momenti non comuni, quando essa si svuota dal turismo caciarone e c'è solo silenzio, dandoci una vera possibilità di comunione con l'ambiente circostante, ricordandoci però, quando smontiamo il campo, di lasciare il luogo che ci ha accolto, cosi come l'abbiamo trovato, portando a valle tutta la spazzatura.




sabato 11 gennaio 2020

Dolomiti Wildlife

Casa non è dove abiti, ma dove il tuo cuore ritorna a battere e riesci a respirare nuovamente. Tanti luoghi dove non ho un abitazione sono come casa per me, ed ognuno ha il suo profumo. Edimburgo profuma di carbone e bucato fresco, i passi alpini dei Grigioni di aria fina e ordinata, la Norvegia di fredda salsedine e fuoco di caminetto.
Oggi casa è in alto, tra le Dolomiti, che profumano di licheni, erbe alpine, di stambecco e camoscio ma anche di antichi oceani. Sono le tre del pomeriggio, sono due ore che cammino sotto un caldo sole estivo e sono stanco morto; la mattina ho smontato dal turno di notte in ospedale ed ho dormito solo poche ore. Dagli occhi iniettati di sangue, dallo zaino carico sulla schiena, con tenda e sacco a pelo assicurati all'esterno non sembro una persona con molto senno, ma la verità è che dentro sono  felice. Anche Till è con me, lo chiamo e mi guarda, lingua fuori e con gli occhioni color nocciola felici; eh sì, ho imparato che i cani sanno ridere meglio di noi.
Dai cani ho imparato anche la danza circolare per trovare il posto più adatto per la cuccia, infatti è da mezz'ora che giro in tondo, a testa bassa, cercando il posto più pianeggiante della prateria alpina tra la forcella dei Negher e il monte alto delle Aute, per poter allestire il bivacco in tenda per questa notte.
Una volta trovato, affido la tenda al vento per poter scegliere la posizione, la fisso al terreno con i primi due picchetti, quindi infilo i paletti in alluminio colorati nella guide creando lo scheletro della struttura, poi la sollevo, fissandola al terreno con 21 picchetti. Sistemo il materassino e il sacco a pelo, l'apertura della tenda dà sul Focobon, del gruppo delle Pale di San Martino. Davanti a me il Civetta e il Pelmo sembrano vicinissimi, sono al centro del nostro piccolo regno Dolomitico, fatto di cenge, praterie alpine, movimenti franosi e animali che animano montagne scolpite da mani divine e che all'alba e al tramonto fiammeggiano con l'enrosadira.
Il sole inizia a calare mentre sorseggio una birra fresca in una kuksa di legno, Till è raggomitolato vicino a me, ogni tanto alza la testa, drizzando le orecchie, verso due stambecchi che pascolano appena più in alto, ma loro continuano placidi come nulla fosse. Ho sempre ammirato gli stambecchi; conducono una vita in alta quota, con uno sguardo beato e per nulla intimoriti dall'uomo, si arrampicano tra le rocce con agilità, nonostante siano meno snelli dei camosci.
Camosci e stambecchi condividono la caratteristica di non perdere mai il palco; ad ogni inverno che passano indenni tra le insidie della neve e la scarsità di cibo, sulle corna si aggiunge un anello, come una medaglia al valore per essere stati scaltri ma anche fortunati.
Till mi sveglia da queste considerazioni faunistiche, battendomi con la zampa sul braccio, che nella sua lingua vuol dire:- ho fame! Mi alzo faticosamente e preparo la cena per entrambi: crocchette proteiche per lui, spaeztle fatti in casa con la panna e lo speck per me. Chissà perché Till, guardi con avidità il mio piatto:- sarà mica che hai ancora fame?
Mi risponde starnutendo e ripetendo tutti i trucchi che gli ho insegnato in maniera inconsulta e buffa, tanta è l'impazienza del suo stomaco:- vabbè Till un assaggio te lo sei meritato, tien...non faccio in tempo a dirlo che ha già divorato tutto.
Sconsolato e divertito mi vesto e rassetto la cucina, l'aria fredda della notte ha iniziato a soffiare dal fondovalle verso le cime e il cielo accoglie le prime stelle del firmamento, verso sud le montagne si sono appena spente del rosso sortilegio dell'enrosadira. Passeggio nel giardino degli dei dalle corna lunghe, respirando a pieni polmoni questa aria frizzante che mi rende lieve la stanchezza della notte precedente passata correndo in reparto. Guardo verso la valle del Biois, le sue strade e le  sue case illuminate, immagino le storie di chi arriva a casa, a rifugiarsi tra braccia amiche, dopo una giornata di lavoro, penso alla caparbietà di questa gente di montagna che non molla e che in fondo è più spensierata delle gente di città, sempre in affanno alle prese con il tempo che fugge.
E' ora di entrare in tenda per riposare, spengo la luce a led e mi chiudo dentro al sacco a pelo, Till gira in tondo fino a lasciarsi cadere stanco una volta trovata la posizione, coda davanti al muso per non prendere freddo, fuori il vento accarezza il telo esterno della tenda, facendo di un fruscio sommesso
una ninna nanna che la montagna sta cantando per me, mi addormento rinnovandole il giuramento di rimanere in alto, rimanere selvatico, vivendo una vita selvaggia nelle Dolomiti!