martedì 15 novembre 2016

Una mattina

Mi ritrovo con il mio omonimo  al parcheggio in fondo alla strada carrabile della Val di Canzoi.
Tra me e lui ci sono 35 anni di differenza ma per fortuna abbiamo in comune l'andar per monti e l'osservazione della natura. Ci siamo conosciuti, per caso, sulla ripida mulattiera che conduce ai Piani Eterni e da allora ci sentiamo spesso per condividere immagini ed emozioni. Mi sorprende ogni volta quanto un incontro fatto in montagna possa portare a condivisioni più profonde.
E' ancora buio e i Piani Eterni ci aspettando, la lampada frontale indica dove posare sicuri i piedi, un tappeto di foglie ci accoglie nel bosco.
Questa mattina di novembre mi vede arrancare dietro il mio omonimo, ho il fiato lungo e il cuore a mille si domanda chi dei due abbia più anni in realtà, ma ad ogni modo dopo circa due ore di ripida mulattiera arriviamo al bivio per il Porzil. Questo sentiero si stacca dalla mulattiera e in poco tempo ci porta alla sommità della piana di Erera Brendol giusto quando il sole, stiracchiandosi, si alza da dietro i monti e colora l'alba di una giornata invernale dal cielo terso e azzurro. L'aria fredda congela il sudore sui capelli, in basso un gruppetto di cerve taglia di corsa la piana gelata andando a nascondersi tra i mughi verso forcella Intrigos.
Alla nostra sinistra in alto mufloni e camosci brucano tranquilli l'erba, più avanti, vicino alla malga, che d'estate, ancora al giorno d'oggi, tiene le mucche al pascolo e produce formaggio, un camoscio ci accoglie da vero padrone della piana. Ci osserva e tranquillo si allontana costeggiando il torrentello ormai quasi del tutto gelato. In lontananza, sulla strada che porta a campo Torondo, dei cervi pascolano sul pendio sovrastante. Oggi ci sono proprio tutti gli ungulati della piana: camosci, cervi e mufloni. Sarebbe bello poter vedere anche i galli forcelli , ma sento di chiedere troppo, meglio stiano tranquilli sul loro ramo ad osservare la vallata sottostante e i camosci in fermento. Siamo nel pieno del periodo degli amori e sulle cresta del Col del Demonio due sentinelle con i corni uncinati controllano la situazione. All'improvviso due camosci si rincorrono furiosi giù per il pascolo del pendio, saltano senza paura fino a che scompaiono dalla nostra vista. Dopo qualche minuto il maschio vincitore ritorna per continuare il corteggiamento alla femmina causa della contesa. Sfrega i corni sull'erba, drizza il pelo e scrolla i muscoli: vuole rimarcare che questo è il suo territorio e quella la sua femmina.
L'erba spunta tra la prima neve dell'anno quasi a non voler cedere al freddo dell'inverno, dietro di me, in controluce, spunta la punta del Pizzocco, davanti a me le Pale di San Martino e il Civetta risplendono sotto un cielo azzurro e limpido. Pura pace attorno a me e in me, come ogni volta che salgo in montagna. Ogni volta mi spacco gambe, cuore e schiena, un processo doloroso ma necessario per svuotare l'anima da tutto l'inquinamento della civiltà e rimanere senza fiato di fronte a spettacoli che solo la natura ha saputo creare.

martedì 25 ottobre 2016

Il piccolo aviatore delle rapide


Arrivo sul greto del torrente con il sole che ha già compiuto un quarto del suo viaggio lungo la volta celeste. Questa mattina la pigrizia mi ha tenuto nel caldo del letto più del dovuto. Scarico lo zaino del suo contenuto e con la coda dell'occhio vedo un impavido aviatore passare velocissimo sul pelo dell'acqua del torrente. Ha mantello scuro e il petto bianco e annuncia il suo arrivo con una serie di cinguettii intonati e melodici. Un aviatore timido, il merlo acquaiolo, ma che non ha paura dell'acqua. Mi meraviglia vederlo scivolare lieve sotto il pelo dell'acqua senza subire alcun danno dalla corrente e senza mostrar alcuna fatica nel gesto per poi riemergere con la preda nel becco.Il piccolo aviatore delle rapide conosce l'acqua dal suo primo volo, l'ha dovuta affrontare e vincerla per poter sopravvivere.
Mi apposto in riva al torrente, lo vedo passare davanti, frullando le ali, quasi a prendersi gioco di me, per poi ritornare e posarsi su dei sassi lontani da me, lo ammiro attraverso il tele della macchina fotografica andare a caccia tuffandosi e riemergendo senza sosta dal flusso costante del torrente.
Lo chiamo a me, sottovoce, gli indico il sasso su cui posarsi, il più vicino al mio capanno, magari proprio adesso che un raggio di sole filtrato tra le nuvole mi dona la luce perfetta.
Sciocchi desideri da fotografo naturalista dilettante i miei, la sua diffidenza lo tiene sempre troppo lontano per fare la "foto del giorno".
Tutto questo è frustrante ma in fondo non importa, anche se sono grato di aver potuto condividere questo pezzo di torrente con lui, ho già violato troppo il suo spazio. Il piccolo aviatore spicca in volo, dritto e radente, seguendo il corso del torrente, scendendo più a valle, congedandosi definitivamente da me. Su in alto le nuvole si stanno stringendo a coorte facendo cadere le prime gocce di pioggia, l'aria si fa fredda, l'unica cosa che desidero è un tè caldo

mercoledì 12 ottobre 2016

La sicurezza in montagna: Personal Locator Beacon

Ogni volta che a casa comunicavo l'intenzione di avventurarmi in montagna mio padre "sacramentava" preoccupato perché sarei andato da solo. Questa era una scelta dettata dalla difficoltà di trovare compagni di camminata e dal fatto che andando da solo potevo aumentare la possibilità di incontrare animali. Fino adesso grazie a tre fattori non ho mai avuto problemi gravi in montagna: la fortuna, l'angelo custode e un pizzico di buonsenso che mi ha fatto girare il culo dove le condizioni non permettevano un proseguimento sereno dell'escursione.
Ma nonostante questo, quando sono in escursione posso da un momento all'altro avere un incidente e a casa ci sono almeno due persone in pensiero.
Cerco di ridurre al minimo la possibilità di inconvenienti e uso la tecnologia a disposizione.
Grazie agli smartphone posso avere  in tasca app di cartografia, con cui conosco sempre in che punto del percorso mi trovo, e app di soccorso, che possono lanciare una richiesta d'aiuto direttamente alla centrale operativa.
Negli anni ne ho testate due, una italiana patrocinata dal CAI e una svizzera. Si chiamano, rispettivamente GeoResq e Uepaa; offrono entrambe il tracciamento dell'escursionista, tramite il GPS integrato, e possono lanciare l'allarme usando la rete dati dello smartphone. La rete dati a volte può essere debolmente presente anche nelle zone più remote e questo può bastare a inviare la richiesta di soccorso. Purtroppo tante zone di montagna non hanno alcuna copertura telefonica rendendo inutilizzabili queste interessanti app il cui scopo è accelerare il soccorso alla vittima dell'incidente in montagna grazie alla localizzazione con il GPS. 
Dove non esiste copertura cellulare entrano in gioco gli apparecchi satellitari e in particolare i dispositivi  personali di localizzazione, o personal locator beacon (PLB), dei radio fari che usano la rete di satelliti COSPAS-SARSAT e che devono essere attivati dall'utente in caso di comprovata emergenza. Una volta attivato il PLB invia un segnale ai satelliti in orbita che a loro volta lo inviano alla centrale nazionale di competenza presso cui il radiofaro è registrato. 
In Italia la stazione satellitare Cospas-Sarsat si trova a Bari presso la stazione navale della Guardia Costiera e attiva i soccorsi della zona da dove è partito il segnale di emergenza. 
I PLB hanno una copertura del globo terrestre pari al 100%, vale a dire che possono funzionare anche ai poli. 
Ci sono vari produttori di questi apparecchi radio di soccorso e navigando sul sito internet di uno di questi produttori ho trovato una sorta di "hall of fame" di tutte le persone salvate grazie ai PLB. La maggior parte dei salvataggi sono localizzati in Nord America nella zona delle Rocky Mountain e dell'Alaska, luoghi che, in quanto a natura selvaggia, non permettono di scherzare. Uno di questi produttori oltre alla Hall of Fame, garantisce la sostituzione gratuita del dispositivo usato e una t-shirt con scritto " I SURVIVED" .
Le mie montagne, le Dolomiti Bellunesi, non sono remote come l'Alaska ma hanno diverse zone senza copertura telefonica e un incidente con un ritardo del recupero della vittima causato dalla difficoltà di localizzare e attivare la catena dei soccorsi potrebbe peggiorare la situazione. Per questo credo che il PLB sia un buon "piano B" per uscire da brutte situazioni dove la rete cellulare è inesistente. 




lunedì 15 agosto 2016

In montagna a 6 zampe

Non ricordo come eravamo arrivati a quel punto, ma fatto sta che decidemmo di allargare la nostra convivenza a due facendo entrare in casa un cane. Il problema ora era, che cane prendere.
Tra le varie idee c'erano il chihuahua, troppo nervoso, il carlino, troppo delicato, il labrador, troppo grande e impegnativo e il bassotto. Il bassotto rischiò davvero di allargare la nostra convivenza ma poi la fama del suo carattere troppo energico lo fece degradare nella schiera dei non eletti.
Eravamo a un punto morto. Volevamo un cane ma non sapevamo quale. Fu cosi che una domenica di novembre del 2013 ci vide salire in macchina direzione canile APACA di Belluno.
Al nostro arrivo venimmo accolti da una volontaria e da una salva di latrati nervosi e di supplica.
Salve, vorremo un cane, ma piccolo perché lo terremo con noi in appartamento e state tranquilli: cani ne abbiamo già avuti e "abbiamo esperienza".
La volontaria ci fece passare in rassegna alcuni bastardini color miele belli e affettuosi ma io, in cuor mio, volevo altro: volevo un setter!
Sapevo che potevo trovarlo, di setter sono pieni i canili; troppo spesso i cuccioloni obiettori di coscienza alla caccia vengono scaricati senza troppe gentilezze a una vita in gabbia.
La mia sensazione fu confermata, avevano due setter, una femmina di circa 11 anni e un cucciolo di 1 anno, questo disponibile per l'adozione. Ci avvicinammo alla gabbia, il setter non era proprio di razza pura, era più un mini-setter, aveva occhi persi e tristi di chi ne ha già passate troppe, culo basso e coda tra le gambe. Ci annusò la mano con diffidenza e indietreggio riparandosi dietro la cagna con cui divideva la gabbia.
A vederlo la prima volta non era il ritratto del cane ideale da adottare, anzi la volontaria ci mise in guardia che essendo stato maltrattato poteva avere dei problemi comportamentali. Io e la mia compagna ci guardammo negli occhi; quel cane ci aveva rapito il cuore e fu cosi che Till venne a casa con noi.
I primi tempi non furono facili, anche se "avevamo esperienza", Till mostrava tutti i segni di quello che aveva passato con il "padrone" precedente. Stava spesso in un angolo, occhi bassi e persi e di portarlo al guinzaglio non se ne parlava proprio, ma poi, dopo tre giorni, la resurrezione! Cominciava a capire di essere entrato in un nuovo branco che non lo avrebbe abbandonato. Finalmente quando ci vedeva la mattina scodinzolava contento. Piano piano i suoi occhi cambiarono espressione, divennero più felici e sopratutto più furbi.
Dopo una settimana lo portai in montagna con me per la sua prima grande avventura fuori dalla gabbia del canile in un dedalo di odori e tracce che solo il bosco può dare. Su in alto c'era la neve, tanta e alta almeno fino al ginocchio. Ricordo che sopraffatto dall'emozione e dalla fatica a un certo punto si piantò in mezzo al sentiero cominciando a scavare nella neve per crearsi una cuccia improvvisata. Non ne voleva più sapere di andare avanti. Me lo caricai in spalla e andammo avanti, io imprecando e sprofondando ancora di più nella neve e lui comodo sulle mie spalle.
Da quel giorno andiamo in montagna assieme, a 6 zampe, Till con gli occhi che finalmente ridono ed io con un compagno di cordata che riesce a farmi vedere cose e situazioni che altrimenti passerebbero inosservate ai miei deboli sensi umani.

Photo Nicola Rossi 2015


venerdì 5 agosto 2016

5 pm:Long way to home

Ore 17, la giornata volge al termine e il cielo si infiamma di rosso. Lungo la strada migliaia di macchine tornano a casa, a long way to home, ogni giorno, ogni sera. E la chiesa veglia su di loro,sulle loro vite, accogliendoli ogni volta che nascono, si sposano e muoiono. Spesso gli appartenenti a una stessa famiglia non vivono sotto lo stesso tetto.

sabato 30 luglio 2016

Nuvole

Stava seduto sull'uscio della terrazza, rigirandosi un grappino di serpoul tra le mani. Le nuvole sopra l'Agner gonfiavano il petto in continuazione per poi ritornare lievi scaricando tutto il loro carico acqueo sopra le vite disgraziate della gente al piano . Quelle nuvole oggi avevano deciso di dare un party sopra le montagne rendendo sconsigliabile avventurarsi in montagna.
Bevve un altro sorso di grappa e il gusto del serpoul li sali nelle narici e gli arse in gola riportandolo con la mente in alto, alle terre alte, e all'ultima volta che era salito in paradiso con il suo amico.
Era il 29 di un dicembre strano, avaro di neve e freddo, erano saliti presto, come è d'uso tra chi va spesso in montagna e trovandosi loro malgrado ignari capi spedizione di una comitiva di 9 persone.
Se ne accorsero solo quando posarono lo zaino al cospetto della distesa dei Piani Eterni, sentendo voci umane festose e bonaccione alle loro spalle e che fecero muovere i camosci che si erano accoccolati nei prati ai piedi dei pendi erbosi.
Le nuvole quel giorno erano rade, un sole e un cielo azzurro rendevano surreale quell'ultimo martedì dell'anno, mentre oggi le nuvole cambiavano continuamente forma, facendo si che la fantasia di una ragazza vedesse in loro animali e altre sembianze. Per lui, quelle nuvole dall'apparenza cosi leggere lo avevano schiacciato in basso, non permettendoli di poter elevarsi con lo spirito e il corpo lassù dove i camosci saltano tra le rupi fregandosene del tempo che passa inesorabile. Il grappino orami era evaporato dal bicchiere a forza di rimuginare pensieri troppo complessi e scollegati tra loro; il suo sguardo torvo non riusciva ad abbandonare la silhouette delle montagne di fronte a lui. Già! i camosci...
Quel giorno, dopo aver lasciato la comitiva dei festanti montanari, si erano avventurati sui sentieri sopra la piana ed erano capitati letteralmente in mezzo al branco dei camosci di Erera-Brendol. Avevano, senza volerlo, creato scompiglio e un fuggi fuggi generale verso quote più alte e irraggiungibili delle mamme e dei piccoli dell'anno. Solo una non scappava, la matriarca, la camozza anziana gli teneva sotto tiro, fissandoli negli occhi senza cedere di un millimetro. No, non avrebbe permesso che il branco potesse cadere trappola di due montanari della domenica. Una volta che il turbinio di corna uncinate si placo con tutte le madri e i piccoli al sicuro prese un sentiero conosciuto solo a lei e si mise al riparo fischiando decisa verso gli intrusi.
Quanti erano? uno, duo, tre...ne conto, meravigliato, una ventina forse di più, uno spettacolo a cui aveva assistito poche volte.
Si alzo dalla sedia della terrazza e barcollando rientro in casa, ora le nuvole avevano lasciato spazio al tramonto che come ogni sera stava dipingendo di rosa le Dolomiti. Chissà dove erano andate le nuvole, si erano dissolte o avevano varcato gli oceani come aveva fatto il suo amico quando la primavera del nuovo anno stava facendo sbocciare i narcisi nei prati? Sapeva che stava  inseguendo un sogno e una di quelle opportunità che capitano una volta sola ma gli mancava, quando saliva in solitaria sulle montagne che tanto amavano e gli mancavano le chiacchiere stupide e i discorsi semi-seri che sempre facevano. Sapeva pero che si sarebbe ritrovati, magari dopo esistenze o vite intere, perché erano Amici!

martedì 14 giugno 2016

Tre fotogrammi



Dopo aver indossato gli scarponi e assicurato Till alla cintura in modo da fare una cordata a sei zampe, imbocchiamo il sentiero che in dolce pendenza porta all'alpe sotto le cime d'Auta. Arriviamo al pianoro, dove un torrentello ha ripreso a correre dopo che la neve dell'inverno gli ha lasciato il passo. Piccole casere punteggiano il prato, testimoni di un tempo in cui l'economia era scandita dalle stagioni, di quando la montagna non era solo rifugio dei peccatori e sfogo di sportivi esaltati. Spero che anche quest'anno il tempo delle malghe non si sia esaurito del tutto e ritornino le mucche su questi pascoli. Svolto a destra e iniziamo a salire in pendenza, qualche metro più in basso le marmotte, dalle loro tante, con un concerto di fischi annunciano il passaggio di un bipede e un quadrupede. Salgo seguendo questa traccia sottile, il fiato pesante, il cuore che batte regolare sui 130 al minuto. Till mi trascina con il naso fisso sulle scie dei passaggi dei selvatici. Non incontro anima cristiana, inizio un voto di silenzio involontario, la voce mi si annulla in gola.

Scruto i pendii erbosi sopra di me con il binocolo, sperando di scovare le lunghe corna degli stambecchi. Una volpe sonnecchia raggomitolata sotto un albero, drizza le orecchie al nostro passaggio e, scocciata, ripara nel bosco più profondo. Arriviamo dove i sassi neri danno il nome al lago alpino li vicino. Guardo in alto, a destra e sinistra ma oggi l'incontro non avviene, gli stambecchi non mi vogliono dare l'onore di farsi vedere. Con il binocolo passo ogni centimetro dei prati in quota, Till sdraiato vicino a me con la lingua fuori, in totale beatitudine. Sopra di noi le nuvole cambiano forma e colore dal bianco al nero di continuo. Recupero un attimo il fiato e iniziamo la discesa, mi rassegno a tornare a casa "con il carniere vuoto". Poco importa; non capita spesso di trovarsi con la sola compagnia di un cane, qualche marmotta e una schiva volpe. Contemplando il Creato più che il Tempo impiegato a percorrere il sentiero si entra come in Chiesa, trovando vero raccoglimento interiore nella pace della montagna. Cullato da una leggere brezza, mi sdraio sull'erba a riposare, ma all'orizzonte si stanno già radunando e gonfiando i Ragnarǫk meteorologici  della giornata!E' ora di rialzarsi e ridiscendere dove l'auto ci aspetta per riportarci a casa. Till! Dai s'cià che nemm!






mercoledì 27 aprile 2016

19 aprile 2016

Ritorno alle terre alte dopo due mesi di forzato congedo per la tanta neve fatta in alto. Sono le otto del mattino e sto camminando verso il rifugio B. Boz, seguendo il sentiero CAI n°727, dal versante trentino. In cielo le nuvole danzano minacciose prima di lasciare spazio al sereno, sopra di me, le cincie dal ciuffo scattano veloci di ramo in ramo. Si ode un silenzio musicale, il respiro di me e Till, i canti degli uccellini e la ghiaia che scricchiola sotto gli scarponi. Un silenzio che rimbomba nella testa da quanto è potente. Saliamo veloci lungo la mulattiera, scavalcando le slavine dell'ultima nevicata. Usciamo dal bosco e troviamo quello che rimane delle nevicate invernali, neve in fusione sopra e solida sotto: una granatina su cui camminare sprofondando a volte fino alla caviglia.
Una luce dorata illumina un camoscio al limitare del bosco, ha il pelo in muta ma questo inverno lo ha passato indenne. Svoltiamo verso destra vicino alla partenza della teleferica del rifugio, rientriamo nel bosco, seguendo tracce umane sul sentiero ingombro di neve. Sono indicazioni preziose; i segnavia e la traccia  sono scomparse sotto la neve . Siamo a pochi passi dal rifugio Boz quando il cielo azzurro ritorna sopra le nostre teste. Il Sass de Mura ci abbraccia e ci dà  il ben tornato. Sono le dieci e mezza del mattino ed è ora di mangiare e recuperare le forze. Su in alto, verso il passo Alvis, un camoscio solitario si muove sicuro sulla prateria innevata. 
Entro nel bivacco F. Fiori e leggo con invidia il registro dei passaggi; che sogno sarebbe dormire quassù una notte e poi svegliarsi al canto del gallo forcello. Usciamo dal bivacco e scendiamo verso le malghe che si vedono dal rifugio B. Boz.

Passiamo un piccolo torrente con ancora dei sassi innevati e puntiamo sempre verso le malghe. Camminiamo ora sulla prateria che sta riconquistando la vita all'inverno, tra l'erba i crocus colorano lo sfondo con mille puntini di azzurro e viola pastello.


Till scarta a destra e sinistra, segue tracce che solo lui può sentire, un mondo di scie di odori che raccontano del passaggio della volpe due notti fa e della femmina di capriolo davanti a noi proprio ora. Io però non la vedo, non riesco a distinguere la sagoma mimetizzata completamente nell'erba. Eppure è li, Till freme, guarda serio in quella direzione, sbuffa impazientito fino a che anche io la noto. Ci facciamo bassi nell'erba e andiamo dietro ai nostri istinti, io con la macchina fotografica, Till al  suo fiuto. L'abbaiare di un capriolo maschio più in alto ci desta dalla magia dell'incontro.
Ci rimettiamo in marcia, seguendo la
strada bianca che scendendo ci riporta al bivio della teleferica del rifugio, mi giro un altra volta verso il Sass de Mura e con la coda dell'occhio vedo un altro capriolo risalire le praterie appena percorse. Una leggera brezza culla la mia pace interiore e i miei occhi si ristorano contemplando questa natura.
Un gruppo di mufloni attraversa il sentiero, è composto da alcune madri e dai piccoli dell'anno, li vedo salire i pascoli orfani delle mucche estive e sparire nel bosco.  E' ormai passata la metà della giornata e nuvole grigie cariche di pioggia fanno a gara con innocenti nuvole bianche. Dei piccoli di camoscio con le loro madri  riposano, scaldati dal sole, vicino alle  conifere, sulla neve superstite dell'inverno.
Sembrano tranquilli e in salute.


Lungo il sentiero non siamo soli, sento occhi su di me e avverto un fugace trottare di zoccoli sulle foglie seguite da un boato. Il giovane camoscio quasi ci salta tra le gambe,  ci fissa alcuni istanti per poi mostrarci il didietro e precipitarsi a capofitto nel ripido declivio della valle evitando con precisione gli alberi.

Scendiamo ancora fino a un tornante della mulattiera, mi fermo a bere un sorso d'acqua, sembra tutto immobile, ma siamo ancora in compagnia. Un calpestio di zoccoli sulle foglie del bosco attrae la mia curiosità: sono i mufloni incontrati prima, scesi a valle tagliando per i boschi e i pendii. Sono vicini, un muflone scappa lesto appena mi percepisce, gli altri sostano fermi tra le fronde degli alberi nascondendosi. Punto la macchina fotografica, il tempo si dilata e anche il battito del cuore sembra rallentare. Metto a fuoco e scatto prima che il tempo ricominci a scorrere e la magia scompaia. Guardo in macchina l'anteprima della foto e sorrido di gioia per la fortuna dell'incontro avuto. Good job dude!

lunedì 18 aprile 2016

Sua maestà

Cansiglio, un tempo riserva di legname per la Serenissima repubblica di Venezia ora riserva naturale che comprende due regioni e tre province. Un piccolo paradiso nel nord-est Italia, preso d'assalto il w-e da orde di "cittadini" poco educati al muoversi in natura.
Il Cansiglio lo conosco come le mie tasche, mi avvicino sempre con rispetto e timore, mi inoltro nella foresta e mi fermo a godere di questa natura. Chiudo gli occhi e un profumo di muschio e umidità mi riempie le narici; vengo trasportato in un altra epoca fuori dal tempo e mi sembra di essere un vichingo nelle foreste del nord.
Ritorno alla realtà, cadendo dai miei pensieri; un suono ancestrale rompe l'aria: un bramito di un maschio possente riecheggia nella foresta. Till mi guarda tranquillo, lui il cervo lo stava annusando da quando siamo scesi dalla macchina.
Sento che è vicino, nel fitto della foresta, non posso vederlo o raggiungerlo.
D'altronde sarebbe sciocco: é lui qui il Re! 
Io sono solo un goffo passante che prega di non scivolare sulle radici degli alberi. Lo lascio alle sue attività amorose e scendo verso la piana di Cornasega. 
Tra gli abeti che troneggiano sopra la mia testa la luce filtra tra i rami. Ora c'è silenzio, interrotto solamente dal fischio della Poiana e da una lieve brezza. L'umidità evapora dai tronchi e il muschio é di un verde cosi soffice che ti verrebbe voglia di sdraiarti ad oziare. Mi gira la testa di fronte a questo spettacolo.
Sono le tre di pomeriggio e la giornata non ha concesso molti incontri. Torno sui miei passi quando Till diventa teso fiutando l'aria. Guardo dove punta il suo naso. Tra l'erba fa capolino un palco di rami regali, quel cervo nascosto nella foresta ora si vuole concedere alla mia vista.
Ci nascondiamo nell'erba alta, davanti a noi un maschio di cervo tutto imbrattato di fango. 
Nella luce livida di questa giornata di ottobre le corna luccicano da sopra i covoni di fieno, il cervo come una maestà regale attraversa a testa alta la piana buttando indietro il palco. Trotterellando sicuro risale verso la foresta mostrandosi in tutto il suo splendore.   

Grazie, è stato un onore!




lunedì 21 marzo 2016

Quando in montagna si andava con i pantaloni alla zuava...

Mio padre é morto a 58 anni dopo due mesi di dignitosa battaglia. Cercando tra le sue cose ho trovato questa foto di noi due in montagna. Erano gli anni '90 e in montagna ci si andava tutti quanti con la Fiat Uno, si vestivano pantaloni alla zuava, spesso cuciti in casa e l'unico articolo tecnico erano gli scarponi modello SCARPA.
Mi ricordo di tante camminate in montagna, dove quando ero stanco c'erano sempre le spalle di papà a portarmi, ricordo gli insegnamenti e l'educazione di salutare tutte le persone che si incontravano lungo il cammino. Ricordo ancora come mi intimavano a lasciare il passo a chi scendeva per non dare disturbo e non rompere il ritmo.
A distanza di anni salgo ancora in montagna, la amo e la bramo quando la vita al piano mi soffoca. Penso alla montagna che mi hanno fatto conoscere i miei genitori e penso a cosa rappresenti adesso il fatto di andare in montagna per la maggior parte della gente.
Ora in montagna bisogna andare rigorosamente con il SUV ultimo modello, sia mai di trovare strade impraticabili, si sale vestiti di tutto punto con materiali Hi-Tech e altrettanto Hi-Cost. Ha più importanza l'attrezzatura esibita che il motivo per cui si va in montagna, tanto che si organizzano sfilate di moda ai 2000m. Una volta arrivati in cima invece di un Salve Regina ha più importanza un selfie su Facebook. Il tempo della prestazione fisica conta di più  dell'emozione di trovarsi al cospetto del regno del Signore delle Cime.
Ma chi sono io per giudicare?
Sono un "fotografo" e quindi il selfie in cima lo faccio regolarmente, ma più per portare a casa un ricordo che per un vanto. Curo l'attrezzatura e il vestiario ma sempre con un occhio al pragmatismo.

Ora sono qui con questa foto in mano, con davanti agli occhi le emozioni e i giri fatti in montagna con lui. Tre Cime, Sorapis, Adamello, Cauriol, Erera, Alvis, Rifugio Ere, Palia sono tutte montagne che ho calcato,sempre con lo sguardo attento e, a volte, preoccupato di mio padre su di me.
Capisco solo ora l'eredità lasciatami,un eredità che porterò avanti ogni volta che poserò il piede sui sentieri delle terre alte e che spero, un giorno, di trasmettere al figlio che verrà.

martedì 9 febbraio 2016

Una promessa.

Autunno, tempo d'amori per i cervi, un momento magico per ogni fotografo naturalista.
Tempo fa ho fatto una promessa: andare in Piemonte a visitare la Val Chisone nel parco Orsiera-Rocciavré. Questo ottobre era giunta l'ora di rispettarla e quindi mi sono messo in viaggio da est verso ovest alla volta delle montagne piemontesi. In auto ho caricato di tutto:
  • 2 corpi macchina Nikon 
  • 2 GoPro Hero
  • 4 obbiettivi (ne userò poi soltanto due!)
  • 1 flash
  • 2 treppiedi
  • racchette da neve
  • ramponcini da ghiaccio
  • 1 zaino da 75l
  • 6 bottiglie d'acqua
  • generi di conforto
  • 2 paia di scarponi
  • vestiario estivo
  • vestiario autunnale
  • vestiario invernale
  • 1 piccola scorta di farmaci
  • 1 coltellino svizzero
  • 1 opinel 
  • 1 smartphone per le comunicazioni a casa

Con una dotazione che farebbe invidia ad un trekker
teutonico arrivo nei pressi dell'uscita dell'A22 direzione Pinerolo. Ad aspettarmi al primo autogrill c'é il mio amico Tom. Lui, che queste montagne le conosce sasso per sasso, sarà la mia guida in questi tre giorni piemontesi.
Risaliamo in auto la val Chisone direzione Prà Catinat dove imbocchiamo la pista che conduce al rifugio Selleries. A questo punto io e Tom ci diamo appuntamento per il giorno successivo; oggi sono talmente cotto che decido di rimandare ogni questione fotografica.
Faccio arrampicare il Mazda lungo questa pista sconnessa e finalmente, esausto, vedo il rifugio Selleries. Mi sistemo in una camera a 5 stelle con bagno in camera e, cosa più importante, vista sulla valle sottostante. Bussano alla porta: é Massimo,il gestore del rifugio, che mi invita alla cena annuale del Selleries presso un altro rifugio, dalla parte opposta della valle, a Bourcet. Ci conosciamo da pochi istanti ma subito si avverte un senso di amicizia tipico della gente di montagna. 
La sera, al ritorno dal rifugio Serafin, dove ho gustato un ottima cena in stile piemontese, una fitta nebbia non lascia presagire nulla di buono in merito alla meteo dell'indomani.Come temuto, alla mattina e per tutto il giorno pioggia e nebbia la fanno da padroni ma alla sera il Signore delle cime fa alzare un vento freddo che ci fa rivedere nuovamente il profilo delle montagne e le stelle.
Sento Tom al telefono, ci diamo appuntamento all'inizio della pista sterrata. Dopo un grappino di Serpùl vado a nanna: domani ci sarà da far fatica e da meravigliarsi. 

Mi sveglio presto, con le prime luci, guardo fuori, la meteo promette bene. Mi preparo e scendo con la macchina per trovarmi con Tom. Arrivo e lo trovo già intento a scrutare con il binocolo i prati davanti a noi.
Mettiamo gli zaini in spalla iniziamo a seguire un sentiero tracciato più da zampe di cervi che da piedi di uomini. Loro sono li, in alto, tranquilli al pascolo e più sopra ancora, i camosci, che con calma masticano l'erba e osservano il mondo dalle cime.  Si sente bramire in lontananza.
La giornata é ventosa e soleggiata. Fà freddo ma muovendosi si sta bene.  Il Monviso innevato svetta maestoso dalla linea di montagne di fronte a noi.
Ci avviciniamo, pianifichiamo ogni nostro movimento, non devono sentirci ne vederci. Camminiamo sui pascoli, in pendenza, ci fermiamo, posiamo lo zaino e lo usiamo come scudo. Iniziamo a scattare foto: quanti cervi! 
Passiamo tutta la mattina ad ammirare l'harem di un esemplare davvero grosso, lo vediamo correre massiccio su e giù per il pendio erboso a scacciare altri pretendenti meno prestanti di lui. Ci imbattiamo in un camoscio vecchio e malandato, ci guarda, e poco a poco si allontana senza curarsi troppo di due strani bipedi con macchina fotografica.
A mezzogiorno mangiamo qualcosa e beviamo un sorso di amaro alla fragolina di bosco. Tutto questo è pura magia, riflettiamo sul fatto che tante volte saliamo in montagna per ore per riuscire a fare pochi scatti buoni ma che non è solo quello che ci porta lassù dove le nuvole accarezzano le creste. E' la sensazione di far parte della montagna, quando il vento  ti sfiora il viso e la pace dei sensi ti pervade. Il cielo sopra di noi è di un bell'azzurro intenso e le poche nuvole si creano e dissolvono in un batter d'occhio. 
Ora cominciamo lentamente la discesa, un aquila ci sorvola in alto e Tom mi racconta dei suoi incontri con i lupi. Incontri mai violenti, sempre densi di emozioni vere.


Scendiamo in una canalino e, da una roccia a sbalzo, ci ritroviamo direttamente sopra un branco di cervi intenti a godersi il sole ottobrino. Rimangono li fermi, indifferenti della nostra presenza fino a che non decidono di mettersi in movimento verso un altra valle. 
Risaliamo il canalino, e seguendo un comodo sentiero scendiamo a valle.                                                                                                              




Arrivati in basso guardiamo verso le cime della montagne alle nostre spalle. Su in alto, mimetizzati dall'ombra del tramonto che incombeva, come note su un pentagramma,stanno passando una ventina di cervi femmina con alcuni piccoli che circondano un cervo maschio.





Torniamo alle macchine e ci salutiamo. Ritorno al rifugio dove mi accoglie il vociare festoso di ragazzini delle medie in gita; speriamo che imparino dalla montagna il rispetto del prossimo e della natura.

Mangio una buona cena con coscette di pollo e carote al burro e sorseggiando un grappino al Genepì rivivo questi tre giorni riguardando in macchina le foto scattate.





Esco fuori dal rifugio, il sole è andato già da un po a dormire dietro le cime. Domani si ritorna a est, verso casa, mi godo il freddo pungente della notte e rimetto in ordine le idee e i programmi per domani. Alzo gli occhi verso la meravigliosa via lattea e mi sento parte di un disegno divino.

Vorrei....

Vorrei essere scoiattolo
per conquistare tutte le cime degli alberi
camoscio per scalare 
le ripide praterie
capriolo per saltare
felice tra gli alberi
vorrei la virilità del cervo 
 e la capacità  di volare alto 
dell'aquila
ma vorrei ancor di più 
esser' uomo nella natura
e viverla 
senza offenderla


mercoledì 20 gennaio 2016

My kingfisher's experience!

Oggi non lavoro, quindi ho deciso di immergermi nella natura.
Vado ad esplorare uno spot consigliatomi da un amico; l'intento è riuscire a fotografare i picchi con un buon appostamento in capanno.
Non é andata proprio cosi, la natura del luogo è molto bella e invita a future esplorazioni,  ma la presenza di un boscaiolo unita a un sesto senso non propizio mi spinge a tornare alla macchina.
Sulla strada di casa mi fermo vicino a un piccolo laghetto -proviamo a vedere cosa può offrire- penso tra me e me.
Qui ci sono già stato un paio di volte, riuscendo a fotografare i cigni intenti nella toilettatura. So per certo, che qui intorno, gira una delle specie di uccello più belle dei nostri fondovalle: il martin pescatore!
Il martin pescatore è un dritto: ha una colorazione azzurra sul dorso, per confondere i predatori dall'alto e una colorazione marroncina per confondere, dal basso, i pesci di cui si nutre.
Come se non bastasse dispone di una speciale membrana che copre l'occhio quando si tuffa in acqua per pescare.
Un soggetto affascinante, che ero riuscito a vedere e fotografare solo in ambiente protetto. In quell'occasione avevo effettuato degli scatti meritevoli ma non ero soddisfatto. Riuscire a fotografarlo in libertà era quel livello in più che cercavo, ti fa sudare e imprecare, ma ti lascia una gioia e una soddisfazione indescrivibile!
Trovo il sito d'appostamento, spiego il capanno, entro, chiudo la cerniera dietro di me e inizio a sistemarmi. Dopo pochi attimi, giusto mentre sto estraendo la macchina fotografica dallo zaino, ecco che compare, come una magia, il Martino. Un lampo, non faccio a tempo di capire che é già partito verso un altro ramo,un altra pozza
 e un altro pesciolino da pescare.
Non mi dispero, tornerà di sicuro al suo posatoio, finisco di sistemarmi e aspetto. La mia attesa non sarà vana!

lunedì 11 gennaio 2016

Mimetismo

Incontri cosi ti fanno sobbalzare il cuore. E' avvenuto tutto in un attimo. Dopo aver passato la mattina a camminare piano nel bosco, sperando di incontrare qualche capriolo, arrivo in una radura che non si é ancora fatta inglobare dal bosco. Vedo sulla prima neve superstite una saetta di pelo bianco che si affanna avanti e indietro. Riesco a ottenere una sola foto dell'esserino bianco che ormai si é andato a mimetizzare nel fitto dell'erba. 


La saetta era un ermellino in muta invernale a caccia di arvicole, nascoste li vicino sotto la neve. 
Riuscite a vederlo?
  

giovedì 7 gennaio 2016

3x10

La mattina della partenza in casa si sente profumo di caffè e sonno. Sono le 5:30 e lo zaino con le macchine fotografiche, il mangiare e l'acqua è già pronto dalla sera prima.
Il mio amico fa colazione con me e una volta finita, torna a dormire come suo solito. Un cane atipico.
Scatta per una busta di biscotti ma rimane impassibile davanti ad un guinzaglio e alla possibilità di fare un lungo giro in montagna. 
La meta di oggi è il bivacco Greselin situato nel gruppo del Duranno in val Cimoliana; l'obbiettivo è riuscire a fotografare gli stambecchi in questo angolo selvaggio delle dolomiti friulane. 
Dopo aver convinto Till che oggi sarà una bella giornata per entrambi e averlo fatto desistere dal tornare a dormire, partiamo alla volta di Cimolais, salendo verso Longarone e la diga del Vajont. La strada la conosco, l'ho percorsa un paio di volte in bicicletta, ma questa volta butto un occhio più attento sull'immensa frana del monte Toc facendomi mille domande sulla stupidità di ingegneri e speculatori e sulla tragedia umana di 50 anni fa. Arrivati a Cimolais dopo qualche chilometro lungo la Val Cimoliana lasciamo l'auto al ponte Compol e ci incamminiamo verso il bivacco Greselin in un posto che è già magico fin dai primi momenti.
I primi 45 minuti sono facile mulattiera di montagna in mezzo al bosco. Non c'è anima viva. Proseguiamo passando una prima volta il torrente Compol aiutati dagli ometti di roccia lasciati da altri escursionisti; il sentiero è rotto e la traccia sarebbe impossibile da seguire senza questa solidarietà tra gente di montagna. Continuiamo e la traccia si fa via via più difficile, da mulattiera diventa sentiero, da sentiero a sentiero pieno di radici e mi accorgo che gli scarponi fanno fatica a tenere l'aderenza. Passiamo un'altra volta il torrente Compol a circa 1200m slm. Siamo sotto ad una fantastica cascatella che nei secoli ha scavato la roccia creando dei cadini e dei salti d'acqua. Tiriamo il fiato e sopra la cascatella si vede la cima del Duranno che fa capolino avvolta dalla luce dell'alba.
Da questo punto il sentiero si fa difficile e mostra tutta l'asprezza di queste montagne, tracciato ripido e con brevi muri da scalare. In alcuni punti anche Till, che vanta una trazione 4x4, mi guarda sconsolato in cerca di un aiuto per i passaggi più tecnici. Saliamo e passiamo un'altra volta il torrente Compol alternando passaggi in mezzo ai mughi a passaggi su roccia friabile a passaggi su lastroni di roccia sempre cercando e anelando con lo sguardo i bolli rossi lasciati sulla roccia per guidare la via.
Sono al limite della sopportazione, mi dico di continuare ancora per 20 minuti e poi tornare indietro, ma la montagna mi sta solo insegnando ancora una volta la perseveranza contro le difficoltà della vita. Dopo 20 minuti uno sguardo al GPS mi conferma di essere quasi alla fine delle mie fatiche e fatti ancora alcuni passi ecco che mi appare, in tutto il suo splendore rosso metallizzato arrugginito, il bivacco! 
Prima di arrivare alla meta devo passare un tratto dove il sentiero si fa stretto ed esposto da entrambi i lati e affrontare una frana che si è letteralmente mangiata una parte di montagna e il sentiero stesso. 
Vicino al bivacco e senza neanche avere i secondi per riprendere fiato scorgo gli stambecchi pascolare nel prato, quasi mi stessero aspettando. Mi nascondo dietro un sasso, preparo la macchina fotografica e mi avvicino basso sul terreno quel tanto che basta per averli in buona visuale, mi siedo sull'erba imitato subito da Till. Comincio a scattare, quasi tremo per l'emozione dell'incontro. Till fiuta l'aria, freme anche lui per l'istinto della caccia ma resta seduto accanto a me godendosi lo spettacolo. Tre ore di cammino difficile e arduo per dieci minuti di fotografie. Due mamme con tre piccoli, nessun maschio imponente, solo la fragile rappresentazione della speranza per queste leggendarie creature di montagna troppo vicine all'estinzione. Un attimo in confronto a tutta la giornata, ma un attimo che ti fa meravigliare della bellezza della natura. Sono le uniche foto di quel giorno, quelle vicino al bivacco, non ne ho scattate altre perchè il percorso era, seppur bello, troppo duro per perdersi in iso, diaframmi e questioni di fotografia.
Lascio gli stambecchi alla loro invidiabile vita quassù a 2000 metri ed entro nel bivacco a rifocillarmi prima di iniziare la discesa. Lassù a 1988m slm, solo con un cane e un paio di stambecchi guardavo l'umanità giù in basso e il creato attorno a me. Ero in pace! Purtroppo giù al piano e a parecchi chilometri di distanza altri non provavano le stesse mie emozioni, era la mattina del 13 novembre 2015.