lunedì 14 agosto 2017

L’esplosione

Con il caldo dell’estate, nelle praterie alpine si riempiono di fiori in un esplosione di colori. Sopra di essi una miriade d’insetti vola indaffarato, ognuno con un suo compito, tutti necessari e tutti indispensabili per l’ecosistema montano, moscerini compresi. 
Salendo lungo la mulattiera esposta a sud che porta al rifugio Dal Piaz, sulle vette feltrine, farfalle nere accolgono l’escursionista, alzandosi in volo dal terreno come una nuvola. Sono esemplari di Erebia aethiops, siincontra sovente sopra i 700 m di altitudine. Appartenente a una famiglia di ventisette diverse varietà, presenti su tutto l’arco alpino sono la scorta di un ipotetico viandante che volesse percorrere le alpi da est aovest.  Oltre a loro, si alzano in volo nervosamente le azzurre e piccole licenidi, come la polyommatus coridon. Dove gli alberi diradano lasciando il posto alla prateria d’alta quota e le pietraie secche scaldate dal sole, su un fiore di cardo riposa una farfalla bianca con due soli rossi sulle ali e che del dio greco Apollo porta il nome. Il parnassius apollo è il modo con cui la natura ha voluto esprimere la montagna in un essere dell’aria, diventando il simbolo delle alpi. L’escursionista attento che sale all’alpe, oltre ad ammirarla, mentre è posata con le ali aperte sferzata dal vento fresco che sale dalla valle, può sentirne il rumore delle ali quando si alza in volo e con esso il suono della montagna.

Refugium Peccatorum


Come il protagonista di Moby Dick prendeva la via del mare ogni qualvolta nell’anima gli scendeva un novembre umido e piovigginoso, io prendo la via della montagna, salendo in alto a confessare i miei peccati al Signore delle Cime e a trovare ristoro nei silenzi e nei colori della natura.

 Un’esperienza in solitaria, solo con un cane, in catarsi dalle esperienze logoranti della vita, la voce si annulla in gola e i sensi si acuiscono per assaporare al meglio lo spettacolo circostante. Non chiedetemi, al mio ritorno al paese, quanto tempo ho impiegato per raggiungere la vetta, non lo so, non lo misuro. Chiedetemi piuttosto che emozioni ho provato; vi racconterò che più della fatica e del percorso impervio sono stati gli occhi del gufo che mi osservava mimetizzato in mezzo agli arbusti, il correre del camoscio in salita, sicuro e veloce che mi hanno strappato un sorriso in mezzo al fiatone. Nulla è più intimo del contatto con la montagna del poter osservare gli inquilini che la abitano e invidiare la loro libertà e l’abilità con cui vivono in un luogo in cui noi a stento potremmo sopravvivere senza la nostra tecnologia. 
Ultimamente il mio refugium peccatorum si trova  nelle dolomiti agordine di fronte alla Marmolada. E’ un luogo poco frequentato, perfetto per i miei scopi, ad accogliere il viandante alla fine della salita c’è solamente un lago glaciale e null’altro. Nelle praterie alpine punteggiate di stelle alpine a ridosso del lago, a volte si può avere la fortuna di imbattersi in una colonia di Stambecchi. 
Come i Camosci sono perfettamente adattati alla vita sulle rupi e mi suscita sempre curiosità la loro abilità a rimanere in equilibrio su appigli precari nonostante le loro lunghe corna che sembrano sbilanciarli da un momento all’altro. Animali miti e per nulla intimoriti dalla mia presenza, nel secolo scorso sono stati cacciati quasi fino all’estinzione a causa di superstizioni e false credenze delle proprietà curative delle corna al punto che alla fine dell’800 esisteva un'unica popolazione di Stambecchi sulle Alpi, nella riserva di caccia di Re Vittorio Emanuele II. Oggi gli eredi di questi stambecchi sono qui davanti a me, che si scornano in equilibrio precario sul filo del precipizio regalandomi uno spettacolo che aspettavo da tanto tempo. Ridiscendo verso il fondo del bacino glaciale per rifocillarmi e per infilare, i piedi nell’acqua gelida del lago, in una sorta di rito pagano di comunione con la montagna. Alle mie spalle gli Stambecchi riposano sdraiati nell’erba, sopra di noi le nuvole s’ingrigiscono velando il cielo consigliandomi di incamminarmi verso casa Beati voi Stambecchi, che in questo luogo vivete, senza i vizi, le preoccupazioni e i peccati di noi umani.