Gipeto
Ci sono fotografie che nascono molto tempo prima di venire scattate. Foto che vengono desiderate fino a che fortuna e momento non collimano come la messa a fuoco delle vecchie fotocamere a telemetro. Poi ci sono foto che nascono durante l'infanzia e rimangono li, in attesa di essere scattate, una volta diventati adulti e tornare per un attimo bambini incuriositi da tutte le sfaccettature del mondo che ci circonda. La foto della copertina di questo podcast nasce dentro di me circa trent’anni fa durante un viaggio in auto dalla provincia di Belluno, fino in Canton Ticino. Il convoglio era composto da due Fiat Uno. La prima targata Ticino e la seconda Belluno.
Alla guida mio nonno e mio padre. L’itinerario non prevedeva il classico viaggio attraverso la pianura Padana ma bensì attraverso le montagne. Prima le dolomiti e poi le aguzze cime del canton Grigioni in Svizzera. Un viaggio molto lungo, ma che evitava la malinconia post industriale della pianura lombarda. Il colore dominante che si poteva vedere dal finestrino era il verde, punteggiato da fiori gialli e bianchi, fino a sfumare al grigio nerastro delle vette e l’azzurro del cielo. Durante il viaggio alternavo i mezzi. Un pò con i miei genitori un pò con i nonni. Scalato l’Ofenpass, un passo di montagna molto suggestivo, con tratti di strada rettilinei che tagliano boschi di conifere, che sembra di essere in Canada, arriviamo a Zernez. Qui facciamo sosta e approfittiamo per visitare il centro informativo del parco nazionale svizzero. All'interno di questo centro apprendo che il parco è stato istituito nel 1914 ed ha una superficie 172 km quadrati. Vari pannelli informativi spiegano la fauna e la flora del parco. Poi in una proiezione vedo delle immagini di un uccello maestoso, dall’apertura alare imponente e con uno sguardo magnetico. Fu in quel giorno che conobbi per la prima volta il gipeto.
Poi come accade, le emozioni dell’infanzia vengono sopite dall’adolescenza per poi riaffiorare in età adulta. Le avventure fantasiose sognate da bambino, prendono forma nella passione della fotografia naturalistica. Notti in tenda, camminate in montagna, appostamenti e ricerca per poter raccontare la natura attorno a casa. Il gipeto ricomparve nella mia vita qualche anno fa, in val grande a Vezza d’Oglio.
Ero in compagnia di Giuseppe, detto Tom, una persona fondamentale per la mia crescita fotografica. La mattina era trascorsa tra un'esplorazione con il binocolo, un sorso di liquore alla fragolina di bosco fino a quando un gruppo di cerve si indirizzò verso di noi. Mentre scattavamo foto alle cerve in un ambientazione bellissima di pascolo alpino e rododendri, Tom alza lo sguardo. Il gipeto il gipeto- mi annuncia concitato.
Lasciamo le cerve al loro pascolo per concentrare l’attenzione verso il gipeto. Esegue un paio di volteggi, sfruttando le termiche per poi sparire dietro il crinale. Di quel primo incontro, era un giovane gipeto, non ho conservato neanche una foto. Volava troppo in alto e le foto sono risultate un punto indefinito nel cielo.
La storia del gipeto nell’arco alpino merita di essere raccontata, soprattutto perché, come nel caso dello stambecco, l’uomo è sia responsabile del suo sterminio tanto che del suo ritorno.
La superstizione e l’ignoranza vanno spesso a braccetto e per il gipeto questa combinazione è risultata fatale.Nel suo trattato del 19 secolo il naturalista Gotthilf Heinrich Von Schubert scrive: „ … possiede una forza incredibile, tale da riuscire a trasportare con facilità da una montagna all’altra agnelli, capre e addirittura bambini tenendoli nei suoi artigli.“
Questa convinzione,unita all’uso delle armi da fuoco, alle esche avvelenate per lupi e volpi, alla diminuzione di ungulati selvatici e alle laute ricompense per ogni abbattimento fecero sì che nel 1913, in valle d’aosta venne ucciso l’ultimo gipeto. Sul resto delle Alpi il problema gipeto era già eliminato da tempo, eradicato in nome di conoscenze e credenze che non avevano nulla a che vedere con la sua biologia.
Il gipeto è un uccello necrofago. Ovvero la sua dieta è altamente specializzata per nutristi di ossa e midollo osseo. Un suo comportamento è quello di lasciare cadere da grandi altezze le ossa per frantumarle e quindi nutrirsene. Lo studio dell’evoluzione della specie dei gipeti ha visto una progressiva perdita delle capacità predatorie verso quelle necrofage. Svolge un ruolo di spazzino, eliminando le carcasse dall’ambiente. Un'azione fondamentale per la salute di un habitat. Il volo del gipeto è elegante e la sua morfologia si pone a metà tra un'aquila e un avvoltoio. L’adulto può raggiungere i 110 cm di lunghezza, per un peso di circa 10 kg. Imponente l’apertura alare che può arrivare quasi a tre metri. Non vi è differenza di morfologia sessuale tra la femmina e il maschio di gipeto. I giovani hanno solitamente un colore scuro, tendente al nero mentre gli adulti tendono ad avere una colorazione biancastra delle piume. Ma allora perché il gipeto nella foto della copertina appare di un colorito giallognolo?
Questa colorazione non è di origine biologica ma dovuta al fatto che il gipeto è attratto dagli accumuli di terra rossastra ricca di ferro in cui compie dei veri e propri bagni colorando il suo piumaggio. Il motivo di tale comportamento non è del tutto noto. Si pensa che possa essere per un semplice scopo ornamentale oppure perché l’ossido di ferro, svolgendo un azione anti-batterica, protegga le uova durante la cova da eventuali infezioni.
Il gipeto raggiunge la maturità sessuale dopo 5-7 anni e la prima riproduzione avvine dopo 9 anni. Solitamente si riproduce ogni 2-3 anni.
Il gipeto forma coppie monogame e, dopo le parate nuziali in autunno, crea il nido in cavità rocciose. A febbraio la femmina depone due uova a distanza di 4 giorni. A marzo, nel periodo dove è maggiore la possibilità di trovare carcasse di ungulati morti durante i rigori dell’inverno, nasceranno i pulcini. Come per l’aquila, anche nel gipeto è presente il fenomeno del cainismo. Il primo nato prevarrà sul secondo, accaparrandosi tutto il cibo e facendo morire di stenti il pullo nato dopo.
Una volta effettuato il primo volo il piccolo di gipeto in poco tempo sarà in grado di effettuare lunghi voli e procurarsi il cibo da sé.
Il suo apparato digerente è strutturato per inghiottire e digerire le ossa. Si stima che ogni coppia abbia bisogno di circa 800gr di cibo al giorno, quantità che aumenta a 1 kg e mezzo durante l’allevamento del pulcino. La quantità di cibo appena citata corrisponde ad una cinquantina di carcasse all’anno. Questo spiega il perchè del grande areale, circa 300 km quadrati, che il gipeto sfrutta per la sua alimentazione.
Durante il volo riesce a sfruttare le termiche, ovvero correnti di aria calda che salgono dal fondovalle così come le correnti d’aria che si formano in presenza di ostacoli.Grazie alle sue ali strette e lunghe è un ottimo volatore, dalle manovre agili in spazi stretti e dal volo radente al suolo. In picchiata è abile come l’aquila reale.
Il 1986 è l’anno in cui tutti i tentativi di reintroduzione del gipeto si concretizzano. È di quest’anno infatti l’avvio del progetto per riportare il gipeto nel territorio alpino. La tecnica usata è chiamata Hacking, ovvero prelevare un pulcino nato in cattività dopo 90 giorni dal nido dei genitori e metterlo in una nicchia ben riparata nella roccia assieme ad altri due pulcini. Da questo momento i pulcini vengono nutriti e sorvegliati da personale esperto fino al raggiungimento della loro autonomia. A 110-130 giorni spiccano per la prima volta il volo. Nelle settimane successive perfezioneranno autonomamente la loro tecnica di volo e a cercare il cibo. Questa tecnica, rispetto a rilasciare individui nati in natura e catturati in altre parti, è molto efficace. L’88% dei gipeti rilasciati sopravvive al primo anno e il 96% negli anni successivi.
Il primo rilascio del gipeto è avvenuto nel 1986 nel parco nazionale austriaco, poi nell’87 è la volta dei rilasci in Francia, nell’Alta Savoia. Nel 1991 avvengono rilasci nel parco nazionale svizzero e dal 1994 anche nella zona del Parco Nazionale dello Stelvio.
Il 1997, 80 anni dopo la sua scomparsa e 11 anni dopo la sua reintroduzione, in Alta Savoia, si è involato il primo pulcino nato in natura. La popolazione selvatica del gipeto lungo l’arco alpino si è consolidata tanto che nel 2015 si è visto l’involo di 148 pulcini nati in natura.
L’arco alpino ha ora una popolazione stimata di circa 200 Gipeti. Nonostante il successo il progetto di reintroduzione non è concluso. La scarsa diversità genetica impone ulteriori rilasci nei prossimi anni e una continua sorveglianza di questa specie particolarmente delicata e sensibile.
Il gipeto è passato sopra di me altre due volte prima che riuscissi a creare sul sensore l’immagine che mi ero costruito nella mente. La prima volta ero nel Parco Nazionale dello Stelvio mentre la seconda ero in val d’aosta, questa volta nel parco del Gran Paradiso. In queste occasioni rimane il ricordo di momenti passati in alto, pieni di gratitudine nel poter osservare il volo del Gipeto. In entrambi i casi ero in compagnia del mio socio Michele, un amico oltre che collega fotografo con cui condivido gioie e delusioni di questa passione che ci accomuna. In Val d’Aosta oltre al gipeto adulto siamo riusciti a vedere anche due “immaturi”, ovvero due esemplari caratterizzati da un piumaggio scuro.
Ci sono state foto, ma lontane, tirando il collo ad obiettivi e sensori e non riuscendo ad avere quella qualità che cercavamo.
Alla fine di tutto però sono riuscito a chiudere quel cerchio aperto trent’anni fa, proprio dove questa storia è iniziata. Certo questo mi è costato fatica, quella fatica che se la racconti ti danno del matto, mentre tu sei solo felice di riuscire a vivere questa esperienza. Sveglia alle tre,nel pieno della notte. Gli zaini con le macchine fotografiche e la borsa con il necessario per due giorni via da casa sono pronte dalla sera prima. Alle 3:40 sono in viaggio. Guido nella notte fino a che il sole sorge dietro di me. Alle 7 ho lo zaino in spalla e inizio a salire il sentiero che si stacca dalla strada del passo del Forno e sale a Margunet. Sono all’interno del Parco Nazionale Svizzero e il sentiero mi porterà fino sotto ad uno dei primi nidi artificiali del progetto di inserimento. Margunet è anche il nome di uno dei primi tre gipeti rilasciati in svizzera.
Nel 1998 dall’unione di Margunet e Diana, in valle del Braulio, nascerà Stelvio. È il primo pulcino di gipeto nato in natura in Italia, dopo la scomparsa avvenuta cent’anni prima.
Il sentiero è agevole e pieno di tabelle informative sulla fauna del luogo. Il primo cartello raccomanda di non uscire mai dal sentiero. Infatti le zona al di fuori del sentiero sono vietate all’uomo e la gestione del territorio è lasciata in mano alla natura. Ogni tanto il sentiero si apre a delle aree di sosta, delimitate da dei cilindri infissi nel terreno. Salgo ancora fino a superare la linea degli alberi. Il caldo inizia a farsi sentire. Perlustro le praterie alpine lì intorno. Degli stambecchi riposano sul crinale, mentre per il resto tutto tace. Mi sale la sensazione di quando so che non è giornata. Scendo velocemente alla macchina e risalgo verso il versante del parco naturale dello Stelvio. Mi siedo su delle rocce che dominano tutta la vallata sottostante. Aspetto, mentre all’orizzonte le nuvole si riuniscono in conclave. Da lì a poco inizia a piovere. Oggi è andata male, penso tra me e me, quando con la coda dell’occhio vedo una sagoma sopra di me. Grande, maestosa, imponente. Eppure non fa rumore, non come i corvi che gracchiano e schioccano l’aria con le piume delle ali. Si allontana verso la parete di quello che rimane del ghiacciaio sulla mia destra. Poi vira deciso ma leggero. È lui, il gipeto. Lo inquadro nel mirino, l’autofocus esita ma poi aggancia perfettamente. Sento solo il rumore del battito del cuore andare in sincronia con la raffica della reflex. Mi passa davanti, all’altezza degli occhi, in linea con le montagne sullo sfondo, mentre sento le gocce d’acqua battere sulla testa. Proprio come avevo disegnato nella mia mente, immaginazione e pixel si fondono nella foto che desideravo da tempo. Il tutto è durato pochi attimi, che conserverò nella memoria. Non sono più il bambino davanti al documentario. Ora ho la barba che in alcuni punti si è fatta bianca e mi sto avviando verso la seconda parte della mia vita, ma in quel momento ho provato la stessa gioia della scoperta di quando ero bambino. Mando un anteprima e Michele,mi risponde poco dopo. È contento per me, come lo sarei stato io a parti invertite. Il bello di una passione condivisa senza invidie, cosa rara al mondo d’oggi.
Il gipeto ora si allontana, scavalcando il crinale, silenzioso come era venuto. E già la mia immaginazione vola con lui, sperando un giorno di vederlo prendere le termiche che dal fondovalle salgono verso le guglie dolomitiche di casa.
Questo episodio termina qui, grazie come sempre a chi dona il proprio tempo per
ascoltare le nostre storie. Un grazie anche al sito gipeto.ch per avermi fornito informazioni utili per la scrittura di questo testo. Se ti andasse puoi lasciarci una recensione su Spotify o sulle
piattaforme di ascolto che lo consentono.
Grazie, buona giornata e buona luce





Commenti
Posta un commento